Cappotto:
c'è stato chi ha
fantasticato su di una Compagnia del Mantellaccio, composta di gente dissoluta
che a carte si giocava anche il cappotto. Ovviamente questa ipotesi
pittoresca è assai ridicola; bisogna invece guardare al francese,
dove l'espressione fàire capot è attestata fin dal
1642 (Oudin). Nel francese attuale, capot significa direttamente
"battuto al gioco". Il senso di questo faire capot non è
quello di "cappotto" inteso quale pesante indumento invernale, pastrano,
ma semmai quello di chavirer, "capovolgersi", come nell'italiano
"cappottare", che è un altro francesismo. (m.b.)
Combinazioni:
è possibile che il
gioco dei tarocchi sia nato come un semplice tressette briscolato, dove
a fine mano i giocatori computavano i punti delle figure incassate. Abbiamo
notizie ferraresi di honori, cioè di accuse di combinazioni
di carte. Queste accuse erano premiate con punteggi elevati, se non con
vincite dirette in denaro. Sappiamo che tali honori premiavano combinazioni
trasversali (tre Re) ed orizzontali (Re più due figure dello stesso
seme). E' verosimile che gli honori cinquecenteschi prevedessero
la regola che il possesso di tre o più combinazioni raddoppiasse
il già sostanzioso punteggio. Le figure, i contatori, i trionfi,
assumono ad ogni mano un valore diverso, a secondo del tipo di combinazioni
incassabili. Un Fante vale 2 Punti, ma se permette di realizzare Criccone,
ne vale 40 - 60, ben oltre il valore di 4 Punti di una Regina solitaria.
Se poi il Fante in questione permette di fare anche Sequenza, vale improvvisamente
altri 50 - 100 Punti, per un totale di 100 e passa Punti: il valore di
quel Fante in quella mano è stato moltiplicato per cinquanta. (g.z.)
Dasavatara:
un testo cinese, sfortunatamente
tardivo e senza autorità, riferisce che verso I'anno 1120 un funzionario
della corte donò all'imperatore trentadue tavolette d'avorio. Alcune
riguardavano il cielo, altre la terra, altre ancora l'uomo, e le più
numerose riguardavano nozioni astratte come la sorte o i doveri del cittadino.
Il sovrano le avrebbe fatte riprodurre e diffondere in tutto l’impero.
Il gioco, chiamato Mille volte diecimila - numero ultimo e totale,
se mai ne è esistito uno - conta in realtà soltanto trenta
carte: tre serie di nove carte ciascuna e tre trionfi, che sono le carte
chiamate rispettivamente mille volte diecimila, il fiore
bianco e il fiore rosso. Sulle carte cosmiche sono disegnati
quattro segni rossi che corrispondono ai punti cardinali e, sulle carte
umane, sedici segni che corrispondono alle virtù dette anch'esse
cardinali per analogia (benevolenza, giustizia, ordine e saggezza), ciascuna
delle quali è espressa quattro volte. La somma dei segni del gioco
riassume il numero delle stelle. Il gioco è quindi un microcosmo,
un alfabeto di emblemi che ricopre tutto I'universo. Questa tendenza enciclopedica
era non meno evidente nei giochi indiani, altrettanto sistematici, ma più
rigorosamente legati alla teologia.
Dasavatara è infatti
un gioco indiano di 120 carte, diviso in dieci serie di dodici carte, corrispondenti
alle dieci incarnazioni o avatar di Visnu e illustrate dai loro
simboli, esso risente evidentemente dell'influenza del più antico
gioco cinese dal quale, con ogni probabilità, deriva; viene giocato
ancora oggi in India.
Ogni serie comprende due
figure, il re e il visir, e dieci carte numerate da uno a dieci. Nelle
prime cinque serie, l'ordine delle carte numerali è ascendente,
da uno a dieci, e l’uno è la carta più bassa. Nelle altre
cinque, l'ordine è invertito, e l'uno diventa la carta più
alta. Abitualmente la carta più forte del gioco è, durante
il giorno, quella che rappresenta I'incarnazione del dio in Rama o in Narasimba.
Dopo il tramonto, la più forte è invece quella che porta
la figura di Krishna, almeno quando tale figura esiste nel gioco. Le carte
numerali contengono l'emblema dell'avatar che dà il nome alla serie,
ripetuto tante volte quante l'esige il loro valore. Tali emblemi, in generale,
sono i seguenti: pesci, tartarughe, conchiglie, dischi, cioè denari;
fiori di loto, brocche, che possono corrispondere alle coppe; asce, archi,
bastoni e sciabole, corrispondenti a spade e bastoni. Ma vi figurano anche
elefanti, scimmie,
vacche, cavalli, leoni o
donne. Certi mazzi presentano scene in cui intervengono da uno a dieci
personaggi, a seconda del valore della carta: un fumatore solitario, due
uomini che discutono, una dama e la sua ancella in visita ad un sadhu,
due uomini che eseguono il gioco della fune che si innalza verticalmente
mentre altri due stanno a guardare, una fanciulla al cospetto del re e
di tre cortigiani, eccetera. I primi mazzi di carte conosciuti in Occidente
sono più vicini alla simbologia cinese, razionale e civica, che
alla lussureggiante mitologia indiana. (r.c.)
Deroga:
ciò non ha nessun
senso logico; probabilmente la consuetudine è figlia della ottusa
interpretazione della regola che vieta la vicinanza contigua dei due Contatori.
Infatti, in primis, questa regola vale per i Contatori quando ambedue applicano
la loro proprietà sostitutiva ai Numeri di Scavezzo - e non è
questo il caso; poi, in realtà i due Contatori sono solo apparentemente
adiacenti: infatti, la Combinazione è formata dal Capostipite Angelo,
dal Mondo, dal Contatore che sostituisce il Sole, Luna saltata (o fatta
fuori) in modo naturale, Contatore che sostituisce il Sedici. E' quindi
chiarissimo che i due contatori non sono adiacenti, ma l'uno sostituisce
un Numero della Grande (il Sole) e l'altro sostituisce un Numero di Scavezzo
(il Sedici), per di più separati dalla presenza virtuale della Luna,
quindi sarebbe perfettamente lecito e logico, poter aggregare altri Numeri
di Scavezzo. Comunque, sia per rispetto alla consuetudine, sia pro
bono pacis, la deroga è applicata ed accettata, fino ad assurgere
alla dignità di regola. (m.b.)
Differenza
punti:
dedotta dal foglio
gara viene elaborata, trasformandola in parametri per coppia, secondo
questo schema
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0 |
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da 1 a 80 |
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da 81 a 160 |
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da 161 a 240 |
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da 241 a 330 |
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da 331 a 430 |
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da 431 a 540 |
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da 541 a 670 |
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da 671 a 850 |
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da 851 a 1100 |
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oltre 1100 |
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il valore di classifica è così formato da un numero intero di 2 cifre, comprese tra 0 e 20, seguito da 6 cifre significative oltre la virgola:
Naibi:
sono carte nate in Italia
nel secolo XIV, probabilmente ispirate a carte arabe trecentesche delle
quali conosciamo un esemplare del soggetto del Cavaliere (al naib);
costituiscono una specie di promemoria di cognizioni utili ed erano utilizzate
per praticare un gioco didattico.Sono cinquanta immagini, distribuite in
cinque serie di dieci carte. Le serie corrispondono alle condizioni della
Vita, alle Muse, alle Scienze, alle Virtù e infine ai Pianeti.
Le condizioni della Vita
vanno dalla più umile fino al supremo potere temporale e spirituale:
il mendicante, il servo, I'artigiano, il mercante, il gentiluomo, il cavaliere,
il dotto, il re, e infine I'imperatore e il Papa. Per completare
Ia seconda serie, alle nove Muse e stato aggiunto Apollo. Alle carte raffiguranti
i sette pianeti sono stati aggiunti l'Ottava Sfera, il Primo Mobile e la
Prima Causa. Per quanto riguarda le Scienze e le Virtù, c'era soltanto
l'imbarazzo della scelta. I Tarocchi nacquero verosimilmente dalla combinazione
delle Naibi - evolutesi in Trionfi - e delle quattro serie delle carte
numerali dei semi latini. (r.c.)
Nomenclatura
dei Trionfi:
scrive il Pedini nel suo
manoscritto (A.M. PEDINI,
Spiegazione del gioco del Tarocchino, Bologna 1746, Biblioteca dell'Archiginnasio,
ms. Gozz. 140, f. 4Ov.-55r.):
(...)
De Trionfi Cap: III
Tutti li Trionfi hanno diuerso nome, e diuerso significato, e sono li seguenti posti coll'ordine, col quale caminano trà di loro, cioè Angelo, Mondo, Sole, Luna, Stella, Saetta, Diauolo, Morte, Traditore, Vecchio, Ruota, Forza, Giusta, Tempra, Carro, Amore, quatro Papi, Bagattino, e Matto.
(...)
ATTENZIONE: per la corretta lettura dei vocaboli in lingua bolognese sotto riportati è necessario scaricare i relativi font QUI contenenti gli specifici caratteri diacritici.
Le 22 carte abitualmente definite Trionfi sono, altrove, tutti Tarocchi nella loro generale accezione popolare, ma nel linguaggio dei giocatori bolognesi i Tarûc sono solo quattro: Ànżel, Månnd, Béghet e Mât (Angelo, Mondo, Bégato e Matto). I Tariónf (Trionfi) sono così 22 soggetti organizzati in 21 Nómmer (Numeri) e 1 Mât. I Nómmer: Ànżel, Månnd, Såul e Ló@na riuniti in questa sequenza costituiscono la Granda (Grande) e i Nómmer dal 16 al 5 i Nómmer ed Scavàzz (Numeri di Scavezzo).
I trionfi sono definiti con il loro nome soltanto nel caso dell'Angelo, del Mondo, del Sole, della Luna, del Begatto, del Matto e dei quattro Murétt (Moretti), in tutti gli altri casi sono definiti con il segno numerale che portano, pur possedendo un proprio nome; cioè:
16 - al sagg' (le Stelle) äl Strèl
15 - al quénng' (la Torre) la Tårr
14 - al quatôg' (il Diavolo) al Dièvel
13 - al tragg' (la Morte) la Môrt
12 - al dågg' (l'Impiccato) al Traditåur
11 - l óngg' (l'Eremita) al Rumétta
10 - al dî§ (la Ruota) la Furtó@na
9 - al nôv (la Forza) la Fôrza
8 - l òt (la Giustizia) la Giustézzia
7 - al sèt (la Temperanza) la Virtó
Al Såull e la Ló@na
sono dette anche äl Råssi
(le Rosse), dal colore attribuito ai due astri nelle illustrazioni. E a
proposito di illustrazioni, se si guarda attentamente la carta del Bégato
si capisce perché qualcuno lo definisce al cûg
di bastèrden (il cuoco dei bastardini), così pure per gli
angeli, che possono diventare tre: l'Angelo vero e proprio ( Ànżel),
ossia la carta sempre vincente, che in realtà rappresenta il Giudizio
Universale;
l Ánżlâz (l'Angelaccio),
ossia il trionfo con il numero undici, che nei tarocchi rappresenta l'Eremita
o il Vecchio,
l Anżlén (l'Angioletto),
il numero cinque che rappresenta l'Amore o Cupido. Se si dispone di tre
dei quattro Tarocchi già citati, ma fra i quali manca l'Angelo,
si usa dire che sono i Tarûc mât
(i Tarocchi matti).
Qualcuno, quando dichiara l'Accuso e dispone dei due Cuntadûr, (Contatori) Bégato e Matto, carte decisive ai fini del conteggio dei punti, ama alterare il vocabolo dicendo ch'l à i du cuntadén (che ha i 2 contadini). (a.c.- elaborazione di m.b.)
Partita
a tutt'andare:
le differenze tra il gioco
del XVII secolo e quello odierno interessano solo lo svolgimento dell'incontro
e le poste; per il resto il gioco è il medesimo:
Quattro
Mori:
nel 1725 un assurdo contrattempo
portò a un notevole cambiamento nei soggetti dei trionfi.
Il canonico Luigi Montieri
produsse un mazzo di Tarocchino geografico e araldico. Tali mazzi didattici
godettero di un'enorme popolarità nei secoli XVII e XVIII. Potevano
essere basati su qualsiasi tipo di mazzo da tarocchi o normale, con semi
francesi o italiani. Come altri di questo tipo, la quasi totalità
della superficie di ciascuna carta era dedicata a fornire informazioni
geografiche e araldiche: solo un piccolo pannello nella parte più
alta ne indicava la denominazione come in una carta da gioco. Bologna faceva
da tempo parte dello Stato Pontificio, ma, in base a un accordo del 1447,
godeva di notevole autonomia. Quando il mazzo fu sottoposto all'attenzione
delle autorità papali, esse lessero con indignazione su una carta
che Bologna aveva un governo misto. Fecero arrestare il canonico Montieri
e tutti quelli che erano stati coinvolti nella pubblicazione del mazzo,
che fu pubblicamente dato alle
fiamme.
Nella bolla del 12 dicembre
1725 il cardinale Tomaso Ruffo, il legato, condannava le carte di Montieri
per mille irregolarità vane, ed improprie Idee, degne del più
esemplare castigo, come altresì di darle alle fiamme, e di proibirne
affatto l'uso, e il commercio con pubblico nostro Editto. Le autorità
si resero conto ben presto, tuttavia, che procedere oltre avrebbe suscitato
profondo risentimento in una città orgogliosa delle sue antiche
libertà. Il caso venne quindi rapidamente lasciato cadere e Montieri
e gli altri rilasciati dopo pochi giorni di prigione. Per salvare la faccia,
tuttavia, il legato Pontificio finse di essersi scandalizzato per un aspetto
totalmente diverso del mazzo, che era comune a tutti i mazzi da tarocchini
bolognesi e non specifico della versione geografica di Montieri. Egli ordinò
che nel Gioco dei Tarocchi fossero sostituiti ai 4 Papi 4 Mori, e all'Angelo
una Dama. Interpretando correttamente che l'affronto alla dignità
papale sarebbe stato più profondamente avvertito di quello alla
dignità dell'Angelo del Giudizio Universale, Montieri si piegò
alla prima richiesta ma non alla seconda, e il legato sentì che
l'onore era salvo. In tutte le copie superstiti del
mazzo geografico compaiono
Mori al posto dei Papi, ma il trionfo più alto è ancora l'Angelo
anziché una Dama e si continua ad asserire che Bologna ha un governo
misto. Nel suo libretto esplicativo della riedizione del mazzo, Montieri
chiamava i quattro nuovi trionfi Satrapi.
Il mazzo Montieri ha le
carte dall'Asso al 6 in ciascun seme e omette quelle dal 7 al 10, ma questa
è solo una semplificazione che deve rendere più facile rappresentare
le denominazioni delle carte numerali nei piccoli pannelli che servono
a questo scopo. Nei
trionfi, incluso il Matto,
ciascun pannello racchiude anche una singola lettera maiuscola.
Quando i trionfi sono disposti
in ordine discendente, con il Matto in fondo, le lettere formano le parole:
C LUIGI MONTIERI INVENTOR. Si tratta di una prova evidente del fatto che
nel 1725, come nel 1668, l'ordine dei trionfi era quello suddetto .
Non solo il canonico Montieri, ma anche tutti i fabbricanti di carte di Bologna si adeguarono al decreto che imponeva la sostituzione di Mori al posto dei Papi, pur trascurando la parte relativa all'Angelo. (m.d.)
Scavezzo:
nella sua accezione di sostantivo,
deriva da voce arcaica capezzo, a sua volta derivato dal latino
capitum.
L'azione verbale corrisponde al lessico:
scapezzare o scavezzare
[dall'ant. capezzo, lat.
capitium ‘estremità]
v. tr. (io scapezzo)
1 Tagliare i rami sino al
tronco. SIN. Scamozzare, scapitozzare.
2 (est.) Mozzare nella parte
superiore: scapezzare una torre | †Decapitare
scavezzare
[variante sett. di scapezzare]
A v. tr. (io scavezzo)
1 V. scapezzare.
2 Rompere, spezzare | Scavezzarsi
il collo, fare una caduta rovinosa, rompersi il collo.
3 Nella lavorazione della
canapa, ridurre in frammenti gli steli legnosi della fibra.
B v. intr. pron.
· (raro) Rompersi,
spezzarsi.
(m.b.)
Simboli:
un trattato veneziano del
1545 propone un'altra spiegazione: “Le spade ricordano la morte di coloro
che si rovinano col gioco; i bastoni indicano la punizione meritata da
coloro che barano; i denari rappresentano ciò che alimenta il gioco;
e le coppe, infine, la bevanda in cui si placano le dispute tra i giocatori”.(m.b.)
Tarocchino
bolognese:
fonti certe indicano che
già nella seconda metà del Quattrocento a Bologna i trionfi
fossero già popolari; la Bologna di allora era gremita di studenti
da tutta Europa. Forse l'Alma Mater è stata una responsabile del
nuovo gioco e del suo mazzo.
Il nome Tarocchino bolognese
è preferito a Tarocco bolognese, siccome esprime la particolarità
del mazzo ridotto a 62 carte, rispetto alle 78 del mazzo completo. Sappiamo
che nel Cinquecento riduzioni di mazzo erano praticate un po' in tutta
Italia: la riduzione del mazzo è stata un passo importante nella
creazione del gioco del Tarocchino; possiamo supporre che a Bologna si
giocasse a Tarocchi con mazzo ridotto già dall'inizio del Cinquecento.
Coi quattro semi completi
di dieci carte numerate e quattro figure ciascuno, la cattura del Re era
pressoché impossibile. Sottraendo il Due, il Tre, il Quattro e il
Cinque di ogni seme, si è tolto mediamente un giro franco per seme,
esponendo le figure ad un taglio più rapido. Il Tarocchino bolognese
così come lo conosciamo oggi si deve essere perfezionato nella prima
metà del Seicento, con l'inserimento di nuove combinazioni e con
l'invenzione della funzione dei Contatori . I punteggi di cricca e sequenza
in uso alla fine del Seicento sono computati in modo identico, ancora oggi.
(g.z.)
Trionfi:
sono un seme inventato di
sana pianta, creato sessant'anni dopo l'arrivo delle carte in Europa ed
innestato sul mazzo tradizionale italiano per tagliare, fare da atout,
cioè briscola: briscola in inglese si dice
trump e in tedesco
trumpf,
da trionfo.
Nelle corti del primo Quattrocento,
soprattutto a Ferrara, era di moda rappresentare allegoricamente per esempio
la Fortuna con una ruota, o l'Amore con un carro che trascina via gli amanti,
eccetera. Questi trionfi di Fortuna, trionfi d'Amore, vennero traslati
in un seme di valore superiore ai semi comuni. (g.z.)
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